Gennaio 2024

Situazione attuale

A Gaza la guerra prosegue senza interruzioni: a fine mese la popolazione sfollata era di 1.8 milioni di persone, quasi tutte stipate a Rafah, confine sud, dove a fine mese l’aviazione israeliana ha bombardato.
Il totale delle vittime è salito a 27.478 persone, di cui almeno 11.500 bambini e 8.000 donne. I feriti sono più di 66.835, di cui almeno 8.863 bambini e 6.327 donne. Risultano disperse più di 8.000 persone. Ogni ora a Gaza in media 15 persone vengono uccise, di cui 6 bambini, 35 persone vengono ferite, 12 edifici vengono distrutti.
Nella West Bank (Cisgiordania) sono quotidiani i raid dell’esercito israeliano a Jenin e Nablus, con violenze anche a Ramallah ed Hebron. Dall’inizio del conflitto il bilancio è di almeno 382 morti, di cui almeno 100 minori, e di almeno 4.250 feriti.
Giovedì 11 gennaio si è svolta la prima udienza del processo portato avanti dal Sudafrica, che vede Israele imputato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja con l’accusa di genocidio. Il 26 gennaio la Corte ha dato un primo responso sulle misure provvisorie richieste dall’accusa, chiedendo a Israele di mettere in atto misure preventive per evitare un genocidio e di riferire alla Corte entro un mese sull’operazione militare in atto. Ha sottolineato la grave emergenza umanitaria, ma non ha ordinato esplicitamente un cessate il fuoco, come richiesto dal Sudafrica.
I bombardamenti a Gaza sono continuati senza interruzioni. Per tutta la giornata del 26 gennaio i check-point di ingresso e uscita delle città della West Bank sono stati chiusi.
Israele ha ristretto ulteriormente la libertà di movimento nelle città della Cisgiordania, lasciando aperto un solo check-point per ogni città di zona A, con orari variabili.
Le principali strade per entrare e uscire da Yatta, vicino ad At-Tuwani, sono state distrutte dai bulldozer dei coloni; l’unica strada praticabile non è asfaltata e ha un check-point saltuario. Tutto ciò comporta un aumento sostanziale dei tempi per raggiungere ospedali e scuole e per rifornirsi dei beni primari.
Anche l’economia risente particolarmente della guerra e dello stato di assedio in Cisgiordania: gli stipendi sono stati ridotti dell’80%, chi lavorava in Israele è disoccupato, e i prezzi dei beni primari sono aumentati.

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Il 4 gennaio il ragazzo di At-Tuwani che era stato gravemente ferito all’addome da un colono lo scorso 13 ottobre (con un colpo a bruciapelo), è stato dimesso dall’ospedale di Hebron dopo quasi tre mesi di ospedalizzazione e cinque interventi chirurgici. La sua salute è ancora precaria, fa fatica a camminare e ha ripreso da poco a mangiare. Deve sottoporsi settimanalmente a controlli ed è prevista un’ultima operazione tra 6 mesi.
Nei primi giorni dell’anno nuovo, i pastori hanno ripreso a pascolare - cosa che non accadeva dall’inizio della guerra a Gaza - restando però in zone limitrofe alle proprie abitazioni.
L’8 e il 9 gennaio la valle di Humra è stata dichiarata zona chiusa per due giorni consecutivi, con l’allontanamento violento dei pastori da parte dell’esercito. Nella valle di Khelly, ogni volta che i pastori portano a pascolare il gregge, vengono allontanati da coloni ed esercito.
Si respira un forte clima di tensione, gli avamposti si sono espansi e sventolano bandiere israeliane nelle terre e nei giardini palestinesi.
Inoltre, molti soldati dell’esercito presenti nell’area sono coloni.
Il 22 e il 25 gennaio i coloni di Havat Ma’on hanno distrutto con un bulldozer il muro del giardino di un’abitazione di At-Tuwani; erano presenti sul posto attivisti internazionali e israeliani, la polizia è stata chiamata più volte ma non si è presentata.
Il 24 gennaio i coloni di Avigail hanno piantato dei pali su terra palestinese dalla valle di Mufaggara fino alla bypass road, passando per la valle di Rakeez: è probabile l’intenzione di recintare poi questi pali per annettere porzioni di terra.
A Umm al Kheir un gruppo di coloni di Karmel ha fatto più volte irruzione nel villaggio con raid diurni e notturni ai danni di civili e attivisti internazionali, così come nei villaggi di Susyia, Tuba, Shabel Boutum. A causa di questi raid, alcune abitazioni dei villaggi del Masafer Yatta sono state temporaneamente abbandonate.
Il 14 ha riaperto finalmente la scuola dopo più di tre mesi di chiusura. I giorni di lezioni effettive sono solo tre alla settimana, gli altri due le lezioni sono online a causa degli stipendi dimezzati degli insegnanti e della difficoltà negli spostamenti.
I bambini di Tuba non possono ancora andare a scuola, perché l’esercito non è disponibile per effettuare lo school patrol e le autorità palestinesi del settore dell’educazione di Yatta di conseguenza non rilasciano l’autorizzazione agli attivisti per sostituire la scorta militare. Inoltre, anche per gli insegnanti è difficile recarsi ad At-Tuwani per la scuola.
Ad uno degli insegnanti è stata distrutta la macchina mentre faceva lezione.
Il 28 gennaio il capo del consiglio di At-Tuwani (figura che potremmo paragonare a quella di sindaco), è stato arrestato per aver rifiutato di mostrare il suo documento di identità ad un soldato.
È stato portato dentro l’avamposto di Havat Ma’on, ammanettato e bendato dai soldati. L’esercito poi l’ha trasportato al comando di polizia, dove è stato dichiarato in stato di fermo per otto giorni.
Nessun provvedimento è stato preso nei confronti dei soldati, che l’hanno sostanzialmente sequestrato all’interno dell’avamposto.
La tensione e la paura per ogni spostamento e il clima di frustrazione e depressione generati da questo stato di assedio sono accresciuti dall’impunità di cui godono i coloni, dalla loro crescente presenza all’interno dell’esercito e da una sostanziale inazione della polizia.
I palestinesi con cui i volontari e le volontarie vivono, parlano di un “far west” dove non vi è legge, se non la volontà dei coloni.