C/S: Non demolite il villaggio di Susiya

Comunicato Stampa - 26 Maggio 2015 - La Comunità Papa Giovanni XXIII si unisce alla mobilitazione internazionale in difesa del villaggio palestinese

I volontari di Operazione Colomba, corpo di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, operano a fianco del Comitato di resistenza popolare nonviolenta delle colline a sud di Hebron.
«Quello che sta accadendo a Susiya è pulizia etnica, è la politica dell'occupazione israeliana: distruggere tutte le comunità palestinesi nel sud della Cisgiordania», queste le parole del coordinatore del Comitato Popolare.


Dal 5 maggio 340 persone, abitanti del villaggio di Susiya, rischiano di vedere le proprie case demolite e di dover abbandonare forzatamente le proprie terre.

L'Alta Corte di Giustizia Israeliana, non avendo emesso un ordine provvisorio di interruzione degli ordini di demolizione che pendono sul villaggio (vi è un ricorso degli abitanti di Susiya in attesa di sentenza), ha di fatto permesso la sua demolizione. Il rifiuto dello Stato di Israele di impegnarsi a non demolire prima della conclusione del procedimento in corso lascia intendere che ci sia la volontà di distruggere il villaggio in tempi brevi.

«Ma il punto qui è essere o non essere, rimanere o andarsene. Noi resteremo sulla nostra terra, come popolo e come comitati popolari», così conclude il coordinatore, confermando la tenacia nel continuare a resistere con metodi nonviolenti.

Il 13 maggio i consoli di Francia, Belgio e Gran Bretagna hanno fatto visita al villaggio e si sono interessati della questione.

La Comunità Papa Giovanni XXIII si unisce alla mobilitazione internazionale affinché il villaggio palestinese di Susiya non venga demolito.

Per maggiori informazioni:

http://bit.ly/save-susya

#SaveSusiya



Contesto:

Nel 1986 il villaggio di Susiya è stato dichiarato un sito archeologico israeliano, la sua terra è stata espropriata agli abitanti, e questi ultimi, che vivevano in grotte, sono stati deportati. Mentre ai palestinesi è stato detto che non potevano risiedere in un sito archeologico, i coloni israeliani vivono in un avamposto illegale situato all'interno del suddetto sito.

Dopo l'espulsione, gli abitanti sono stati costretti a trasferirsi sui loro terreni agricoli limitrofi.

Poiché non c'è mai stata la volontà di concedere un piano regolatore, i palestinesi sono involontariamente diventati costruttori illegali. Decine di abitanti del villaggio hanno seguito le procedure legali nel tentativo di ottenere i permessi di costruzione, ma le richieste sono state respinte. Nel 2012 gli abitanti del villaggio hanno raccolto fondi e hanno presentato la proposta di un piano regolatore all'autorità israeliana.

La richiesta di approvazione del piano regolatore è stata respinta nel 2013 a detta dell'associazione  Rabbini per i Diritti Umani “per motivi discutibili, che indicano un doppio standard nella progettazione e una discriminazione palese contro la popolazione palestinese”.

Nel 2014 i Rabbini per i Diritti Umani hanno presentato un ricorso all'Alta Corte di Giustizia per conto del villaggio di Susiya contro la decisione di respingere il piano regolatore. Il 5 maggio il tribunale ha respinto la richiesta di un provvedimento cautelare, lasciando l'intero villaggio esposto ad un imminente demolizione.