I tell you something - Ti dico qualcosa

Palestina/Israele

Esiste in questo conflitto una frase, per la precisione quattro parole male
articolate in lingua inglese che avrò sentito ripetere decine di volte.
Negli accompagnamenti, ai posti di blocco, sugli autobus.

"I tell you something" ovvero: "Ti dico qualcosa".

Questa frase è diventata per me uno dei simboli del mio vivere nei
Territori Palestinesi occupati, in mia presenza diverse bocche hanno
pronunciato questa frase a effetto.
Un simbolo del conflitto e del bisogno umani di esprimersi, di comunicare,
perchè senza comunicazione non esistiamo.
Quando la sento arrivare comprendo di essere in presenza di qualcosa di
molto importante per la persona che ho davanti, qualcosa che rappresenta il
suo essere più profondo, la sua storia, i suoi dolori, il suo cuore
pulsante.

Tutti gli interlocutori espongono queste parole con motivazioni differenti,
spesso contrastanti se non opposte tra di loro.

I primi a utilizzarla spesso sono i *palestinesi*: per ricordarti il motivo
per cui sei sul campo, a testimoniare un'ingiustizia quotidiana che i
pastori subiscono non con rassegnazione, ma con la serena consapevolezza di
chi è conscio dei propri diritti.
"*Ti dico qualcosa: questo lembo di terra su cui stiamo pascolando è mio,
era di mio padre e prima che appartenesse a mio padre lo lavorava mio
nonno. Questo campo appartiene alla mia famiglia da generazioni. Io sono
cresciuto qui. Ho visto i miei figli nascere e crescere tra queste colline.
Noi non vogliamo il male di nessuno, noi vorremmo vivere in pace, ma i
coloni ci attaccano e bruciano i nostri raccolti e i soldati distruggono le
nostre case con le ruspe. Nessuno ci vuole qui.*
*Dio ci dà la forza di resistere, anche se quest' anno la pioggia tarda ad
arrivare, le colonie si espandono mese dopo mese e l'occupazione militare è
sempre più pressante.*
*Non ci viene dato il permesso per costruire delle case nuove, delle stalle
per animali, dei pozzi per la raccolta di acqua piovana. Quando andiamo a
fare la spesa a Yatta veniamo fermati per i posti di blocco e se non ci
fossero gli attivisti internazionali ci terrebbero fermi per ore. Dio è
misericordioso, siamo fiduciosi in Lui.*
*Dove dovrei andarmene? Questa è la mia vita, tu saresti pronto a
rinunciare alla tua vita? Dovessi anche morire qui, non me ne andrò*"

Altre lingue che hanno pronunciato questi termini appertengono ai *soldati*,
anche se faccio fatica a comprimerli tutti in un unica categoria, quindi li
dividerò almeno in due casi:
a) Il soldato furioso:  "*Ti dico qualcosa: se entro cinque minuti non vi
allontanate da questa valle vi faccio arrestare. Non mi interessa stare ad
ascoltarti, tu sei venuto qui solo per creare problemi. Si sta tanto male
in Italia eh? Ti annoi così tanto che sei dovuto venire a combattere la tua
noia qui in Israele? Tornatene a casa tua, qua non è un posto per giocare.
Certo che è facile per tutti voi "uomini e donne di pace" venire qui e dire
che siamo tutti dei criminali, che dovremmo essere distrutti. Ma io vengo
forse a Roma o a Milano per dirti che non puoi vivere a casa tua? Siamo
l'esercito più civile del mondo, l'unico che prima di bombardare una città
lancia volantini per avvisare la popolazione locale di abbandonare l'area
per tempo. Perchè non andate in Siria?*
*Voi sapete solo odiarci, non capisco perchè non ci sia modo di mandarvi via
*".

b) Il soldato in ascolto: "*Ti dico qualcosa. Davvero non capisco perchè
voi siate qui: Israele è la nazione più civile del Medio Oriente. Siamo
circondati da nazioni arabe che vorrebbero distruggerci, lo puoi capire
questo? Lo ammetti almeno? Il popolo ebraico è stato perseguitato per
millenni, abbiamo vagato senza tregua da un continente all'altro e ovunque
abbiamo trovato solo popolazioni ostili, che ci hanno odiato, disprezzato,
reso la nostra vita un inferno. Oggi finalmente abbiamo uno Stato vero, uno
Stato nostro, con una nostra economia, una nostra scuola e un nostro
esercito, per impedire che qualcuno voglia sterminare gli ebrei come hanno
provato a fare in Germania nella Seconda Guerra Mondiale. Ascolta: tu pensi
che io mi diverta? A stare qui con un fucile in spalla a perquisire dei
pastori palestinesi con le loro famiglie? Lo so che queste sono brave
persone, ma non tutti i palestinesi sono così, non tutti gli arabi sono
così. Io vengo da un piccolo villaggio della Galilea, a nord di Israele, ho
perso un amico per colpa dei missili degli Hezbollah nel 2006, pensi che io
mi diverta? Pensi che sia facile per un diciottenne lasciare tutto dopo il
liceo e arruolarsi nell'esercito? Tutto è difficile, ma non ho scelta*".

Una terza categoria sono i *coloni israeliani*, nei rari momenti in cui
riusciamo ad instaurare delle comunicazioni con loro: "*Ti dico qualcosa.
Voi italiani vi state comportando come i Nazisti, anzi siete esattamente la
stessa cosa, anche voi volete la nostra morte, così come prima di voi la
voleva Hitler con Mussolini. I miei nonni sono stati in campo di
concentramento prima di emigrare in Israele. Nel Grande Israele della
Bibbia, la nostra terra promessa del latte e del miele.*
*Questa terra ci è stata donata da Dio nella Bibbia, è scritto nella Torah.
Queste colline sono appartenute al popolo ebraico per millenni prima che
arrivassero gli arabi per rubarcele. Su questo lembo di terra hanno vissuto
i nostri patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe. Noi stiamo compiendo la
volontà di Dio reimpossessandoci di ciò che ci spetta per diritto
religioso. Cacceremo tutti gli arabi da qui, prima o poi. Siamo soli in
questa battaglia, tutta la comunità internazionale ci disprezza e manda voi
come sicari per eliminarci, Ma non abbiamo paura*"

Una quarta categoria sono le persone che hanno pagato sulla loro pelle
questo conflitto, questa occupazione. Sono alcune delle *famiglie delle
vittime* con cui siamo entrati in contatto, sia israeliane che palestinesi.
Persone che hanno deciso di mettere in comune il loro dolore per qualcosa
di più grande, di più forte.
"*Ti dico qualcosa: non esiste una soluzione a tutto questo passando dalla
violenza. La violenza è come un cerchio infinito che si autoalimenta.
Finchè non cambieranno le nostre rispettive classi politiche la pace
rimarrà lontana. Sono le persone che devono incontrarsi, è dalle persone
che si costruisce la speranza di un cambiamento, non dai governi. Io credo
molto nella popolazione civile da entrambi i lati, è su di loro che
dobbiamo contare per farci forza vicendevolmente e forzare la fine delle
ostilità. Non esiste altra strada, pagheremo tutti un prezzo molto caro se
andrà avanti così, in termini economici, in termini di isolamento
internazionale, in termini di perdita di ulteriori vite umane.*
*La nonviolenza è la sola via d'uscita, l'unica forza davvero in grado di
spezzare questo circolo*".

E noi in quale delle quattro categorie ci rispecchiamo di più nel corso
della nostra esistenza? A volte mi rendo conto che le viviamo tutte, una
per una, anche se in modalità diverse. Eppure anche noi riusciamo a essere
oppressori, anche noi siamo vittime, anche noi a volte siamo in ascolto del
prossimo e altre volte gli chiudiamo la porta in faccia. Non esiste una
regola precisa data dal fato, possiamo essere noi e solo noi a scegliere in
che maniera orientare le nostre scelte, e di conseguenza il nostro destino.
Tutta questa umanità con cui entriamo in contatto ci parla ogni giorno, si
esprime. Le parole sono la via più rapida per esprimere pensieri molto più
profondi, molto più antichi, molto più radicati nel genere umano e in tutti
noi.
Ogni persona con cui noi volontari della Colomba entriamo in contatto ci
regala parte di sè, alcuni probabilmente anche contro la loro stessa
volontà.
Ogni incontro ci cambia.
Non sta a noi giudicare la vita di un altro, il nostro ruolo è contro le
ingiustizie, per un cambiamento anche del peccatore. Questo può rivelarsi
una splendida avventura, uno sguardo di un attimo, che ti cambia la vita.

*Ti dico qualcosa*:
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Ora tocca a noi riempire questi puntini, con la nostra testimonianza e
ricerca della coerenza quotidiana.

Ale