L'autista pazzo

Palestina/Israele

Sono le 6.00 quando usciamo.
Sveglia-caffè-zaino-scarpe in automatico.
Fuori dalla porta ci aspetta H, l'uomo che si è inventato la resistenza qua, in questa terra di ulivi e sassi, di spiritualità e morte.
A fianco a lui, sigaretta accesa e dopo un bagno nel dopobarba, l'autista. Sembra proprio si sia tirato per la giornata: cintura di cuoio, polo nera, scarpe lucide, capelli in ordine appena rasati. Mandibola serrata pronto per un'uscita domenicale o per sparare qualcuno fuori dalla moschea. Nella sua figura c'è qualcosa che infonde tutto, tranne che tranquillità, il suo sguardo. Nei suoi occhi ogni volta che si muovono, si alternano velocemente la tempra del "duro" e il luccichio folle di chi non ha tutte le rotelle al posto giusto. un mix, che vista anche l'ora, è tutt'altro che rassicurante.
E se devo dirla tutta, neanche la macchina promette granché bene: una vecchia subaru distrutta, che cigola pietà appena saliamo.
Vabbè, oggi va così.
Quello che dobbiamo fare: inoltrarci nell'area chiamata "Firing Zone", destinata alle esercitazioni del 2° esercito meglio equipaggiato al mondo, quello israeliano. Secondo fonti attendibili (Chomsky) ai militari della stella di Davide è considerato l'onore (o l'onere) di collaudare tutte le nuove tecnologie balistiche che la grande macchina bellica americana mette sul mercato. In quest'area ci sono piccoli villaggi sedentari, fatti di grotte e tende, che hanno ricevuto il fatidico "demolition order".
Il nostro obiettivo è prendere contatti, far sapere ai capifamiglia che ci siamo e siamo in grado di mobilitarci, nel caso decidano di resistere. Creare la rete. Dare la speranza di una possibilità: resistere a uno degli eserciti più potenti al mondo.
Farlo senz'armi.

Forse, penso mentre ci addentriamo nella zona proibita, lo sguardo pazzo dell'autista non è tanto diverso dal nostro di pazzi "ajaneb" italiani.
Mi ritrovo a riconsiderare A. : con una maestria non da poco si inoltra tra dune e sassi, su percorsi non tracciati in cui tutto sembra ugualmente ripetersi all'infinito. Probabilmente, in mano di un altro la macchina si sarebbe distrutta dopo 100 metri: A. la accompagna con fare sapiente, attutendo gli urti, assecondando buche e wadi. Il problema è che ogni tanto si gira, con fare divertito a dare un occhio a noi passeggeri, per vedere se vomitiamo. Si gira e immancabilmente prende una buca.
Mi chiedo quanto può reggere ancora l'auto, ma H. leggendo il mio interrogativo, mi precede e mi spiega che il suo amico, contrabbandiere dalla nascita, ha montato motore nuovo, ammortizzatori rinforzati e gomme speciali. Aggiunge, anche che, se ci fermano, saranno problemi per tutti. Vuole tranquillizzarci. OK!

Arriviamo nei villaggi e ogni tenda, ogni grotta, lo shai zuccherato viene servito abbondantemente 3-4 giri. Parliamo coi capifamiglia, facciamo domande, quanti siete, quante famiglie, quanti animali (pochi), avete acqua corrente (no), avete gas (no), scuola (una, ma è distante e sai, in mezzo al nulla...) cliniche (non qua, in città) ...elettricità? Inshallah.
Mentre gli altri fanno l'intervista, chiedo sempre ad un ragazzo di accompagnarmi a fare un giro per quei pochi metri quadrati che sono il villaggio. Per fare foto, per completare la documentazione delle strutture: qualche generatore, qualche pannello, il pozzo, l'ovile, la stalla. Tra tutti, F., che tra il divertito e l'onorato di avere un ospite che viene da un altro pianeta, con grande orgoglio mi mostra il tesoro di famiglia: un cavallo magro stecchito e cieco, nascosto in una grotta. Il cavallo mi guarda immobile e muto.
A ogni villaggio fotografo il mio accompagnatore. Prima con me, e poi dove vuole lui. Finiamo il nostro giro e abbiamo tra le mani un censimento di storie famigliari, di persone insultate, minacciate, perseguitate, ferite con ferocia e codardia e che presto verranno deportate, con la sola colpa di abitare nella zona in cui verrà addestrato l'esercito dello Stato di Israele.
Dove ora le pecore pascolano quell'erba secca che cresce tra i sassi e la sabbia, per poi fare il latte per il formaggio, con cui questa gente sopravvive, tra non molto verranno lanciate bombe sempre più nuove e letali e dannose, per vedere se funzionano.
Se andranno bene, saranno usate sugli uomini.
Misera gente sarà deportata, verrà privata della propria terra per dare spazio ad un esercito di occupazione, e verranno magari chiamati terroristi. O kamikaze.

Loro sono quelli che di sicuro non verranno chiamati “ribelli”, perché non hanno le potenze occidentali dalla loro parte: le potenze occidentali, amiche di Israele, sono contro di loro e non c'è tornaconto ad aiutare questi pastori a resistere e difendere la propria casa, i propri figli, le donne e le greggi.
Misera gente che sa già quale può essere il più probabile dei futuri che li attende.

Riguardo le foto dei ragazzi e mi accorgo di un particolare. La posa dei giovani pastori, quella scelta da loro è sempre la stessa: a fianco del gregge, bastone da lavoro in mano. Petto in fuori, schiena dritta, sguardo deciso. Figure fuori dal tempo.
Hanno deciso di resistere a uno degli eserciti più potenti e arroganti al mondo.

Che la strada sia in salita, polverosa, e piena di sassi. E che dopo ogni curva ci sia un fiore.