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Traduzione dall'articolo originale pubblicato su +972 Magazine
di Ali Awad e Emily Glick* // Foto di Emily Glick
I palestinesi raccontano le storie che si celano dietro le cicatrici inflitte da coloni e soldati israeliani, la loro lotta per la sopravvivenza, il lutto, e il ri-apprendimento del proprio corpo di fronte a una violenza incessante.
“Ho perso la mia vita mentre sono ancora vivo. Bloccato nel mio letto, non sono in grado di guardare intorno me, né il mio villaggio né il mio futuro”.
Harun Abu Aram, 25 anni, vive in un letto d’ospedale improvvisato nel mezzo del deserto. Vive qui, con il suo corpo paralizzato da 572 giorni, da quando un soldato israeliano gli ha sparato un proiettile nel midollo spinale. La famiglia Abu Aram, che ha costruito la tenda dove oggi vive Harun, trascorre tutte le sue giornate lavorando per tenerlo in vita.
La pulizia etnica del Masafer Yatta, situata nelle Colline a Sud Hebron nella Cisgiordania occupata, si è velocizzata negli ultimi mesi. Dopo la sentenza del 4 maggio - che consente allo Stato di iniziare a trasferire forzatamente comunità palestinesi di otto villaggi della zona per far posto a un’area di addestramento militare - sono arrivati i bulldozer per radere al suolo decine di case.
L'esercito ha anche condotto un mese di addestramento con l’uso di armi, lo Stato ha aumentato il monitoraggio dei residenti e la targetizzazione degli attivisti nella regione. Gli otto villaggi situati all'interno della "Firing Zone 918" ospitano oltre 1.000 palestinesi che vivono in un continuo incubo di violenza.