Eravamo appena arrivati, dopo due giorni di cammino, in un altro dei villaggi fuori San Josecito.
Stanchi e fradici per la forte pioggia che giusto si era abbattuta su di noi poco prima di giungere a destinazione, prendo il telefono e inizio a cercare un punto nel quale trovare rete telefonica.
Gildardo, la persona che da 8 giorni stavamo accompagnando, mi segue.
Sapevo che quel giorno, 5 settembre 2018, ci sarebbe stata a Bogotà la premiazione sul difensore dei Diritti Umani dell’anno.
Tra i tre candidati figurava anche German Graciano Posso, rappresentante legale della Comunità di Pace. Arriva un tweet nel cellulare, riesco a leggere la frase pubblicata, poi ancora per alcune ore rimarrò disconnessa: German Graciano Posso, Defensor del año 2018!

Leggi tutto...

Dalla nostra dolorosa esperienza di sfollati, ritornati e perseguitati da parte del nostro stesso governo e Stato, solidarizziamo in modo radicale con la Proposta realizzata dai rifugiati siriani che cerca di stabilire una Zona Umanitaria in Siria, vicino alla frontiera con il Libano, per permettere ai rifugiati siriani in Libano il ritorno nella propria Patria accompagnati da Organizzazioni Umanitarie Internazionali.

La nostra Comunità di Pace di San José de Apartadò, in Colombia, è stata fondata per la necessità di dare una risposta alla grave crisi umanitaria e di sfollamento forzato di cui è stata vittima la popolazione negli anni precedenti al 1997.

Leggi tutto...

“Imparare ad affrontare la paura. E’ questa una azione unica in Colombia.
La maggior parte della popolazione cede, è sottomessa. Il modo più efficace con il quale si sta cercando di distruggere questo “proceso” di Comunità di Pace è mettere paura, minacciare, mostrare le armi [...]” commenta durante una delle stazioni della Via Crucis padre Javier.
Durante la Settimana Santa la Comunità di Pace ha la consuetudine di ricordare la passione di Gesù confrontando la sua sofferenza con quella vissuta dalla Comunità negli ultimi 21 anni.
Anche quest’anno il giovedì Santo, nonostante la delicatissima situazione nella zona, nonostante le ultime minacce di morte, nonostante la paura, un gruppo di circa 40 contadini si è messo in cammino.

Leggi tutto...

Fa caldo e sono solo le 8 del mattino.
Ci aspettano almeno sei ore di viaggio.
Siamo alla bottega della Comunità di Pace, c’è allegra confusione, muli e cavalli con i loro carichi di cibo e zaini, altri con selle lucenti per l’occasione, pronti a trasportare donne, uomini e bambini verso Mulatos.
Non ci sono parole per descrivere l’emozione delle persone, soprattutto di alcune del consiglio della Comunità di Pace, nel vedere la partenza di così tanta gente fiera e decisa di ciò che è, di ciò che vive.
Levis ha quasi le lacrime agli occhi, il cuore accelera, le grida di incitamento sono il segno che non si può più attendere.
Stranamente sono tutti puntuali, una rarità in questo Paese dove il tempo non lo scandisce l’orologio ma la vita stessa.

Leggi tutto...

Il 21 febbraio del 2005 veniva massacrato Luis Eduardo Guerra assieme alla compagna Bellanira e al figlio Deiner di soli 11 anni, quest'ultimo decapitato.
Altre 5 persone tra le quali 2 bambini di 5 anni e 11 mesi, venivano anch'essi barbaramente uccisi, lo stesso giorno, nel villaggio di Resbalosa.
Paramilitari membri del blocco Héroes de Tolová e militari dell'esercito nazionale avevano fatto incursione nel villaggio di Mulatos e Resbalosa.
Il giorno 20 febbraio del 2005 Lucho (così era chiamato da tutti) non volle andare a raccogliere il cacao perché c'erano stati dei bombardamenti ed esplosioni nella zona.
Il giorno dopo però aveva deciso di affrontare il rischio della propria vita con la speranza che venisse rispettata l'integrità dell'essere umano.
Il fratello di Lucho quel giorno aveva insistito perché tornasse a casa ma lui non lo volle ascoltare.
In una intervista realizzata da alcuni deputati spagnoli 37 giorni prima del suo assassinio, Lucho pronunciava queste parole: “oggi stiamo parlando, domani possiamo essere morti".

Leggi tutto...