Ogni giorno appare chiaro, in tutta la sua cruda violenza, il disegno che sta dietro alle scelte politiche, gli interessi economici e il desiderio di potere.
Come strati, scartati con orrore uno ad uno, fino a raggiungere la profondità.
Tutto, invece di apparire più complesso, viene ridotto all’osso rivelandosi nella sua semplicità.
Nella visione del conflitto si rompe la struttura tanto amata quanto superficiale di prendere l’una o l’altra parte.
Non mi riferisco al non prendere una posizione ma, al contrario, prenderne una radicale.
Nel conflitto le parti sono fluide come lo sono gli interessi.

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Ringrazio per avere occhi che vedono, orecchie che sentono, un cuore aperto che accoglie e soprattutto la possibilità di scegliere.
Questo privilegio che man mano che il mondo si apre davanti a te, riconosci come sempre più profondo, radicato e influente non solo nella quotidianità ma soprattutto nelle traiettorie di vita.
Ma fino a quando è una consapevolezza maturata in se stessi è un conto, nel momento in cui viene esplicitato, detto chiaro e tondo a voce alta, la questione è differente.
Può arrivare il giorno in cui a dirtelo è la leader di un movimento che lotta per lo smantellamento di una mostruosa diga che sconvolge l’ecosistema, le vite di esseri umani e di specie ittiche e la geologia della zona montuosa, tutto per avere acqua ed energia indispensabili per l’estrattivismo di cui gli interessi sono di molti Stati al di fuori di quello proprietario delle risorse.
A questa lotta lei ha scelto di dedicare la vita e questo, nel sistema in cui ci troviamo, significa essere minacciata di morte insieme ai suoi compagni e vivere sotto scorta.

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Accompagnamento in una vereda (villaggio) è:
occhio attento;
corpo il più aderente possibile al mulo;
tagliare la strada a formiche harrieras che trasportano foglie molto più grandi di loro, foglie che camminano;
le piante più alte che abbia mai visto;
sguardo alla persona che stiamo accompagnando;
mente sveglia;
schivare rami degli alberi di cacao;
il paesaggio si apre, verde;

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“Hacer memoria es un compromiso por el futuro”.

Questa frase può riassumere le intense giornate che abbiamo vissuto accompagnando la Comunità di Pace di San Josè de Apartadò in Colombia nella commemorazione del massacro di Mulatos e Resbalosa avvenuto il 21 febbraio del 2005. Ogni anno dall’accaduto la comunità ha celebrato un atto di memoria. Una memoria viva, una memoria motore di questa resistenza nonviolenta. Il 19 febbraio già dalle prime ore del mattino a La Holandita si sentivano le voci di chi iniziava con i preparativi del primo di 4 giorni dedicati a hacer memoria di Luis Eduardo, Bellanira, Deiner, Alfonso, Sandra, Santiago, Natalia e Alejandro. Sebastian, figlio di Luis Eduardo che all’epoca del massacro aveva appena due anni, sale sulla colonna del portone d’ingresso e con estrema cura appende uno striscione: “RESISTIAMO PER LA VITA, LOTTIAMO PER LA GIUSTIZIA E CAMMINIAMO PER LA DIGNITA’”.

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Una scelta come quella di vivere nella Comunità qui sembra così naturale, così umana, dell’umanità che permette di sentirsi insieme, sorelle e fratelli, di vivere nel rispetto della terra Madre che ci nutre, di alimentarsi di valori come la solidarietà, la condivisione, l’attenzione nei confronti di chi sta accanto, di riconoscere il vero significato della vita.
Qui sembra quasi assurdo il contrario ai miei occhi.

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