Mykolaïv, Ucraina, è domenica sera, sono le 8, ma il cielo è ancora chiaro, un temporale appena passato ha reso l’aria fresca e nitida.
Come ogni dopo-cena esco dal cancello della comunità che ci ospita e giro l’angolo.
È il mio momento personale per "riprendere fiato": togliermi un attimo da una ricca e densa quotidianità di relazioni, fumarmi una sigaretta, guardare le ultime chat sullo smartphone, sentire come stanno a casa.
Ed è proprio durante una telefonata che succede.
Non so neanche come definirlo, uno scoppio, un boato, qualcosa di fortissimo, mai sentito prima! Capisco all'istante di cosa si tratta, anche se le sirene questa volta non hanno suonato.
Ho il cuore in gola, mi alzo di scatto e accelerando il passo vado verso il cancello.
Un altro boato.
Incontro la faccia familiare e preoccupata di Ale "Bombardano! Dentro, dentro!".
E mentre scendiamo le scale per entrare nel rifugio, un altro ancora, il terzo.
Questa volta i razzi sono arrivati molto, ma molto vicini.
Siamo dentro.