Il cielo è di un azzurro illegale, ha deciso di rompere il grigio monotono che si spaccia per cartolina dell’Ucraina del sud. Cobalto e prati infiniti, fossero coltivati a grano sembrerebbe di correre direttamente sulla bandiera nazionale proprio dove i due colori si toccano, come la strada qui che era la linea del fronte sei mesi fa, oro contro blu, le buche lasciate dai razzi rattoppate alla meglio. Invece ora il colore della metà inferiore è un marrone quasi nero puntinato di verde, in attesa di tempi propizi per il raccolto. Per essere in giro per il “granaio d’Europa” di coltivazioni manco l’ombra; i frutti della guerra sono pochi, grigi e tristi e fanno capolino qua e là, altri, molti, sono invisibili, seminati due dita sotto la terra nera e feconda.

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Arianna, Corrado e io, oggi accompagniamo due pastori della comunità di Mykolaiv a Kherson dove terranno una celebrazione con il gruppo locale di fedeli, nel teatro del centro culturale.
Sarebbe la domenica di Pasqua ma, grazie al fatto che indosso un giubbotto antiproiettile da 15kg, la cerimonia prende rapidamente le sembianze di una via crucis.
Gli spallacci hanno la piacevole caratteristica di segare le spalle sia stando in piedi che seduti; le placche protettive, rigidissime, impediscono la flessione del tronco, per cui si è costretti a starsene impalati in una posa rigida e innaturale e io, che amo stravaccarmi, non ho muscoli allenati per reggere a lungo una posizione simile. La placca frontale si comporta come un rottweiler sdraiato sul petto, è maledettamente difficile respirare e, se si prova a fare un bel respiro profondo, a metà strada ci si deve arrendere e tocca occuparsi d’altro.
Alle 11.00, puntualissimo, l’esercito russo augura una buona Pasqua ai cittadini di Kherson con il primo colpo di artiglieria e, siccome il sermone del pastore prosegue come nulla fosse, mi farebbe piacere fare qualche bel respiro profondo per rallentare il battito cardiaco, ma il rottweiler nascosto nel giubbotto me lo impedisce. Alla decima esplosione smetto di contarle e stabilisco che, se nessuno si preoccupa, posso evitare di farlo anche io.
I can ear the fireworks-
up & down, up & down-
up & down the San Francisco Bay.

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La carovana raggiunge trafelata, e in ritardo sulla tabella di marcia, il quartiere della città dove deve avvenire la distribuzione di pacchi di aiuti alimentari per la popolazione.
Il programma prevede che tutti insieme, noi e i 120 rappresentati di varie Associazioni unite sotto la sigla #Stop The War Now, si canti qualche canzone per intrattenere la folla sperando di portare un pochino di sollievo anche umano a questa comunità.
Siccome sono “saggio” mi sono fatto dare un passaggio dal pulmino in cui viaggia anche il nostro band-leader che, per inciso, sembra Tom Fogerty e che, insieme a K, suonerà  la chitarra guidando il coro mal messo e improvvisato di carovanieri.
Nel mio immaginario musicale, ho in mente tutta una serie di canzoni mitiche contro la guerra, da Bob Dylan ai Pink Floyd, passando per gli U2 e i Creedence Clearwater Revival di cui Tom era appunto un valente membro.
Nutro fantasie musicali estreme che si spingono fino ad una serie di meravigliose ballate irlandesi tradizionali dal chiaro significato pacifista, pur rendendomi conto che nel raggio di mille chilometri non c'è nessun altro a cui freghi niente della musica irlandese.
Scendiamo dai pulmini e, al centro del tipico parco giochi in tubi innocenti tra casermoni grigi, dove una folla piuttosto consistente ci sta aspettando, si approntano le chitarre, un leggio soffiato al pastore della comunità e un amplificatore.
M., deputato del consiglio comunale e grande regista della giornata, e che soprattutto si è fatto un mazzo di tipo biblico per aiutare la sua città a riprendersi dai bombardamenti, si avvicina a K e a Tom e fa presente che ci si aspetta che suonino “Felicità” di Al Bano.

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Centinaia di anziani, madri e bambini in fila al freddo ad aspettare il proprio turno per ricevere un sacchetto con all’interno alimenti basici per sfamarsi per qualche giorno.
È da mesi ormai che inizia così la giornata di migliaia di persone in queste zone del Paese.
Oggi sto aiutando la comunità a fare i pacchetti e non ci si ferma un secondo per stare al passo con tutte le persone che sono fuori in attesa.
Dopo svariate ore, le persone iniziano a diminuire e noi riprendiamo un po’ di fiato; finalmente riesco a conversare un po’ con i vari collaboratori, in particolare con P., con cui rimango fino alla fine della giornata per organizzare e sistemare i diversi pacchi che serviranno per l’indomani.
Dopo varie domande personali per conoscerci un po’ meglio, gli pongo alcuni quesiti sul conflitto, ma a differenza della persona che ho incontrato settimane fa, lui mi da risposte più incalzanti e sentite.
P. è un ragazzo di 30 anni, è sposato e ha avuto da poco un bambino.
“Cosa pensi di tutta questa situazione?”.
“Allo scoppio della guerra mio figlio aveva circa 1 mese, secondo te come ci si può sentire a scappare in un rifugio buio e umido con la moglie e in braccio un neonato?”.
È arrabbiato ma anche afflitto, si percepisce dalle sue espressioni corporali e facciali.
“Prima lavoravo al consolato polacco qui in città, avevo un lavoro che mi piaceva ed io e la mia compagna eravamo felici essendo appena arrivato il piccolo. Da un giorno all’altro, a causa di un’unica persona megalomane e fuori di testa, ci siamo ritrovati senza lavoro e con R. da crescere in questa situazione. Mi sembra assurdo vivere tutto questo nel 2022”.
E’ veramente frustrato e stanco per tutti questi mesi passati dall’inizio della guerra.

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