La guerra distrugge, distrugge... città, case, famiglie, il Paese, la salute, l’infanzia, il futuro, la speranza...
È un dolore che scorre dentro ed ha radici troppo profonde e non si sa se sarà mai possibile sradicarlo.
È quando sei costantemente stressato, quando non ricordi come vivere senza sedativi.
È quando senti le esplosioni e pensi cosa faresti se fossi sotto le macerie.
È quando leggi le notizie e ti senti in colpa di essere tu quello vivo quando qualcuno è morto...
È quando stai annegando in lacrime di disperazione, quando ti senti ancora più solo, quando provi a ridere per non provare pena per chi ti sta intorno.
È quando ti rendi conto che non hai più niente, e piangi di nuovo guardando le foto della tua vita passata, rimanendo solo con questo dolore.

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Il cielo è di un azzurro illegale, ha deciso di rompere il grigio monotono che si spaccia per cartolina dell’Ucraina del sud. Cobalto e prati infiniti, fossero coltivati a grano sembrerebbe di correre direttamente sulla bandiera nazionale proprio dove i due colori si toccano, come la strada qui che era la linea del fronte sei mesi fa, oro contro blu, le buche lasciate dai razzi rattoppate alla meglio. Invece ora il colore della metà inferiore è un marrone quasi nero puntinato di verde, in attesa di tempi propizi per il raccolto. Per essere in giro per il “granaio d’Europa” di coltivazioni manco l’ombra; i frutti della guerra sono pochi, grigi e tristi e fanno capolino qua e là, altri, molti, sono invisibili, seminati due dita sotto la terra nera e feconda.

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Arianna, Corrado e io, oggi accompagniamo due pastori della comunità di Mykolaiv a Kherson dove terranno una celebrazione con il gruppo locale di fedeli, nel teatro del centro culturale.
Sarebbe la domenica di Pasqua ma, grazie al fatto che indosso un giubbotto antiproiettile da 15kg, la cerimonia prende rapidamente le sembianze di una via crucis.
Gli spallacci hanno la piacevole caratteristica di segare le spalle sia stando in piedi che seduti; le placche protettive, rigidissime, impediscono la flessione del tronco, per cui si è costretti a starsene impalati in una posa rigida e innaturale e io, che amo stravaccarmi, non ho muscoli allenati per reggere a lungo una posizione simile. La placca frontale si comporta come un rottweiler sdraiato sul petto, è maledettamente difficile respirare e, se si prova a fare un bel respiro profondo, a metà strada ci si deve arrendere e tocca occuparsi d’altro.
Alle 11.00, puntualissimo, l’esercito russo augura una buona Pasqua ai cittadini di Kherson con il primo colpo di artiglieria e, siccome il sermone del pastore prosegue come nulla fosse, mi farebbe piacere fare qualche bel respiro profondo per rallentare il battito cardiaco, ma il rottweiler nascosto nel giubbotto me lo impedisce. Alla decima esplosione smetto di contarle e stabilisco che, se nessuno si preoccupa, posso evitare di farlo anche io.
I can ear the fireworks-
up & down, up & down-
up & down the San Francisco Bay.

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La carovana raggiunge trafelata, e in ritardo sulla tabella di marcia, il quartiere della città dove deve avvenire la distribuzione di pacchi di aiuti alimentari per la popolazione.
Il programma prevede che tutti insieme, noi e i 120 rappresentati di varie Associazioni unite sotto la sigla #Stop The War Now, si canti qualche canzone per intrattenere la folla sperando di portare un pochino di sollievo anche umano a questa comunità.
Siccome sono “saggio” mi sono fatto dare un passaggio dal pulmino in cui viaggia anche il nostro band-leader che, per inciso, sembra Tom Fogerty e che, insieme a K, suonerà  la chitarra guidando il coro mal messo e improvvisato di carovanieri.
Nel mio immaginario musicale, ho in mente tutta una serie di canzoni mitiche contro la guerra, da Bob Dylan ai Pink Floyd, passando per gli U2 e i Creedence Clearwater Revival di cui Tom era appunto un valente membro.
Nutro fantasie musicali estreme che si spingono fino ad una serie di meravigliose ballate irlandesi tradizionali dal chiaro significato pacifista, pur rendendomi conto che nel raggio di mille chilometri non c'è nessun altro a cui freghi niente della musica irlandese.
Scendiamo dai pulmini e, al centro del tipico parco giochi in tubi innocenti tra casermoni grigi, dove una folla piuttosto consistente ci sta aspettando, si approntano le chitarre, un leggio soffiato al pastore della comunità e un amplificatore.
M., deputato del consiglio comunale e grande regista della giornata, e che soprattutto si è fatto un mazzo di tipo biblico per aiutare la sua città a riprendersi dai bombardamenti, si avvicina a K e a Tom e fa presente che ci si aspetta che suonino “Felicità” di Al Bano.

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