Demolizioni - ordine militare 1797

Ra-ta-ta-ta-tà.
Rumore assordante di trivella.
Il primo muro viene giù.
Il macchinario si scaglia contro la parete successiva.
Ra-ta-ta-ta-tà.
Boom.
Il cemento si abbatte a terrà con un tonfo.
Ora un letto è chiaramente visibile tra le macerie.
Ci sono dei panni che sventolano sul terrazzino ancora in piedi.
Un ammasso di vestiti e utensili a qualche metro dalla casa.
Soldati.
Soldati ovunque che fanno da cordone, allontanando i proprietari.
Volti impassibili di giovani con il fucile.

Leggi tutto...

Beit Ijza – Vivere in gabbia

Suleiman è in silenzio, mentre beve il suo caffè, seduto sui gradini davanti alla porta di casa.
Osserva le telecamere che monitorano ogni centimetro della sua casa.
Sono puntate sul piccolo corridoio che collega la casa al cancello di metallo, e sulla recinzione, sul muro alto sei metri che delimita i pochi dunum che gli sono stati lasciati.
Osserva le telecamere, che puntano su quei due metri che distanziano la recinzione dalle mura dell’insediamento: quei due metri, che Israele voleva che fossero solo 60 centimetri, e che Suleiman ha conquistato, giorno dopo giorno.
Osserva le case dell’insediamento.
Sono cresciute ancora, sono sempre più grandi, o forse lui le vede così: opprimenti, soffocanti, tutte attorno a quella che lui continua a chiamare casa, ma che sembra una prigione.

Leggi tutto...

Ein Hajla – Storie di resistenza

Mahmoud si siede sulla sdraio.
Hafez prepara il baba ganush e la cena con i pochi strumenti che hanno portato con sé.
Con il sopraggiungere della sera, si alza un po’ di brezza.
Mahmoud guarda il fuoco, immerso nei suoi pensieri.
Quel luogo disabitato è lo scrigno di una storia di resistenza.
“I fumogeni, la violenza, i soldati schierati, le urla, gli sfratti. Ti ricordi Hafez?
Ma che giorni sono stati.
Lo sentivi nell’aria che la gente era stanca, si era pronti per qualcosa di grosso.
In quanti eravamo, e che sogni avevamo.
Intere famiglie si erano stabilite qui, da tutta la Cisgiordania.
Tutte qui.

Leggi tutto...

Burin – Violenza dei coloni

Siamo fuori dalla zona che è appena stata dichiarata area militare chiusa, fissiamo i militari dall’altro lato della strada e ci assicuriamo che Abu Salem possa continuare a raccogliere le olive nel suo uliveto.
Improvvisamente un rumore forte alle nostre spalle. Mi giro di scatto.
Non faccio in tempo a realizzare che quello che ho appena sentito è uno sparo che inizio a correre seguendo gli altri.
Ci fiondiamo nella macchina che inizia a sfrecciare sulle vie del villaggio di Burin e non appena rallenta saltiamo letteralmente fuori dall’abitacolo con ancora il motore acceso.
Entriamo nell’uliveto e corriamo verso le grida che sentiamo in cima alla collina.
Non so dove sono, non so verso cosa sto correndo, non so cosa aspettarmi ma continuo a correre.

Leggi tutto...

Bruqin - Coordinamento e violenza dei coloni

È il primo giorno della raccolta delle olive.
Farah ha aspettato questo giorno per un anno.
Per un anno non ha fatto altro che cercare di ricordare i suoi ulivi, l’odore della terra, il sole che all’alba filtra tra i rami dei suoi alberi secolari e possenti.
Per un anno ha sperato che il suo campo non venisse vandalizzato dai coloni di Bruchin, la colonia appena fuori dalla sua terra.
Sono tutti all’opera: suo fratello, i suoi quattro figli e suo marito.
Ogni tanto Farah lancia un occhio ai militari lì vicino.
Sono quattro, nelle loro divise verde cachi e con i loro M-16 ben stretti a sé.
Sono tutti vicino alla jeep e non mostrano il minimo interesse per ciò che li circonda.
Farah non è tranquilla.
I militari sono lì per proteggerli dai coloni in caso di bisogno.
Lei lo sa.

Leggi tutto...