
Immaginatevi un grande parcheggio con un lato che si affaccia sul mare e, attraccata a questo parcheggio, una nave a tre piani in attesa di partire.
Su un altro lato del parcheggio, con le spalle appoggiate al muro oppure seduti sul marciapiede, molte persone sono in attesa.
Qualcuna di loro ha il volto splendente perché, finalmente, ha ottenuto i documenti, può lasciare l'isola e costruirsi davvero una nuova vita.
Qualcun altro è felice per il suo amico o familiare che, dopo anni di prigionia nei campi di Lesbo, è finalmente libero di partire ma, allo stesso tempo, ha lo sguardo sospeso perché sa che lui, invece, qui sull'isola dovrà passare ancora molto tempo, forse anni.
Anche Stefano arriva al porto.
Non è questo il suo vero nome, ma lo chiamerò così, con un nome italiano, in modo da poterlo sentire piú vicino. Perché, purtroppo, se lo chiamo Mohamed, Ismail o Anel lo sentiamo molto lontano e la storia di Stefano ci scorre via dal cuore dopo 5 minuti, invece di rimanere in circolo dentro di noi.