
I miei occhi incrociano un ragazzino, avrà 15 anni e non di più.
Fa parte del gruppo di minori non accompagnati che è arrivato sull’isola di Cipro.
Quindi è solo.
È molto magro e ha il viso scarnito.
Lui non si accorge di me, non si accorge di nessuno nonostante abbia delle persone intorno. Aggrotta la fronte, fa un’espressione di dolore e inizia a piangere.
Si porta le mani sulla testa, tra i capelli neri e folti, poi sulle tempie; inizia a tirare fuori dalle sue labbra dell’aria e scoppia in un pianto che non riesce a controllare.
Sbatte i pugni contro un palo di ferro ed emette dei rumori che sono gridi soffocati.
Vorrebbe sicuramente urlare ma non lo fa: è l’unica cosa che riesce a controllare.
Invece le lacrime no, non le controlla e scendono come cascate che gli bagnano il viso.
Mi guardo velocemente intorno e gli altri non si accorgono di lui.