Situazione attuale
Da gennaio in Israele varie componenti della società protestano contro la riforma del sistema giudiziario proposta dal governo in carica. La riforma prevede che la Knesset - Parlamento - possa annullare a maggioranza semplice qualsiasi decisione della Corte Suprema, la quale ad oggi può bloccare leggi emanate dal governo qualora ritenute in contrasto con le leggi fondamentali del Paese (per esempio leggi che tutelano la dignità e libertà). Israele non ha una Costituzione scritta, dunque il potere giudiziario è l’unico organo in grado di limitare il governo. Inoltre la riforma consegnerebbe all’esecutivo il potere di sceglierne i giudici, compresi quelli che dovranno - o dovrebbero - giudicare Netanyahu, il cui operato sarebbe dunque senza più controllo.
Dopo tre mesi consecutivi di proteste, l’apice è giunto nell’ultima settima di marzo con il coinvolgimento di esercito, università, sindacati e decine di migliaia di persone. In particolare, la notte tra il 26 e il 27 marzo le proteste hanno raggiunto il culmine e durante la giornata del 27 un’ondata di scioperi ha ridotto i servizi medici e bloccato i voli in partenza dall’aeroporto di Tel Aviv. Questo dopo che il 26 marzo Netanyahu aveva esautorato Yoav Gallant, Ministro della Difesa, il quale aveva criticato la riforma perché fonte di disordini all’interno dell’esercito e invitato il Primo Ministro a fermarne l’approvazione.
Netanyahu, che non aveva previsto questa mobilitazione senza precedenti della popolazione laica, liberale e produttiva, si è visto costretto a fare un passo indietro, annunciando il congelamento del processo di approvazione della riforma fino alla fine del mese prossimo. Tuttavia ha dovuto mediare con il suo Ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, pronto ad aprire una crisi di governo. Con lui - secondo quanto annunciato dallo stesso leader di estrema destra - ha concordato la pausa della riforma in cambio dell'esame, nella prossima seduta di governo, della creazione di una milizia armata privata, chiamata Guardia Nazionale, che risponderà direttamente a Ben Gvir.
Nonostante questa mobilitazione in difesa della democrazia, la maggior parte dei manifestanti ignora il più evidente problema del governo israeliano: il sistema di apartheid contro il popolo palestinese.
Jenin continua a essere nel mirino delle forze occupanti: il 7 marzo i soldati israeliani hanno fatto irruzione nella città, uccidendo 6 palestinesi e ferendone 11; il 16 marzo sono stati 4 i palestinesi uccisi, tra cui un minore, e 23 i feriti. La sera del 22 marzo le forze d’occupazione hanno invaso contemporaneamente le principali città palestinesi di Ramallah, Nablus, Betlemme, Jericho, Hebron, Gerusalemme e Jenin.
Il 20 marzo la Knesset ha votato un emendamento che permetterà ai cittadini israeliani di tornare a vivere in quattro insediamenti nel nord della Cisgiordania occupata, evacuati nel 2005 dal governo del Primo Ministro israeliano Ariel Sharon, che all’epoca firmò una legge per avviare il ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza e ordinare l’evacuazione di questi insediamenti.
Nel mese di marzo sono anche continuati gli attacchi aerei in Siria. Dopo il terremoto che ha colpito la Siria e la Turchia il 6 febbraio scorso, Israele ha colpito diversi obiettivi in Siria: Damasco, Latakia, Homs e l’aeroporto internazionale di Aleppo, causando almeno 8 vittime.
Il 16 marzo è stato il triste anniversario dall’uccisione dell’attivista americana ventitreenne Rachel Corrie, investita da un bulldozer israeliano nella Striscia di Gaza nel 2003.
Il 30 marzo palestinesi in tutta la Cisgiordania e a Gaza hanno organizzato e partecipato ad azioni per il Land Day, importante commemorazione nel calendario politico palestinese che ricorda l’uccisione, da parte della polizia israeliana, di 6 cittadini palestinesi di Israele che protestavano contro l’espropriazione da parte del governo di molta terra palestinese il 30 marzo 1976.