“Hanno spezzato gli ulivi di H. in Khelly”.
Io e C. prendiamo le telecamere e ci avviamo.
Arriviamo sul posto, è appena dietro casa, e iniziamo a fare foto.
Cerchiamo di trovare il punto in cui è possibile far vedere lo scempio di questo gesto.
Facciamo tante foto, iniziamo a contare gli ulivi.
Uno, due, tre, quattro, … “Sono 18?” “Sì, 18 ulivi”.
Ci guardiamo, siamo arrabbiate e facciamo fatica a dire qualcosa ad H.
Osservo i ragazzi, gli stessi che avevano piantato gli alberi pochi giorni prima, li osservo mentre filmano e fanno foto.
Cosa si può provare dopo l’ennesima volta che ti distruggono ciò che tu pianti e costruisci con fatica?

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Ho conosciuto la vedova in un momento di dolore.
Le sue rughe profonde le solcavano il viso.
La fatica era su tutto il suo piccolo corpo.
Di fronte alle macerie della sua casa mi ha servito il tè, mentre teneva per mano un paio di bambini.
Aveva finito di costruirla da poco più di tre mesi, non so quanto ci sia voluto per farla, ma purtroppo so che sono bastate poche manciate di minuti per demolirla.
La cisterna dell'acqua era ribaltata.
I pannelli solari che le davano energia elettrica erano stati portati via.
Era rimasta la sua grotta e un metro quadro di cemento su cui far scivolare le lacrime, la polvere, la rabbia.
Una settimana dopo sono tornata nel suo villaggio.

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Il 20 aprile, nel villaggio di At-Tuwani, alla fine di un'azione nonviolenta, soldati israeliani hanno aggredito e arrestato un ventiduenne palestinese di Youth Of Sumud, senza specificarne il motivo.
Successivamente, dopo aver dichiarato il luogo "zona militare chiusa", i militari hanno inseguito ed arrestato un attivista israeliano e due volontarie di Operazione Colomba.
Quest'ultimi sono stati rilasciati la notte stessa dopo essere stati interrogati.
Il giovane palestinese invece ha subito un processo ed è stato rilasciato, dopo il pagamento di una cauzione, ieri notte.

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Era dal mio arrivo a Tuwani che sentivo parlare delle chiamate notturne di un certo signor M.
Una delle mie prime sere, dopo che ci eravamo messe a dormire, suona il TeamPhone.
B ci avvisa che serve una persona che vada con lei a controllare le luci del signor M.
Cerco di mettere a fuoco, qualcun altro per fortuna era più sveglio di me e va fuori con B.
Il giorno successivo mi raccontano che il signor M chiama spesso perché vede delle luci durante la notte, vicino casa sua.
Tuttavia quando noi volontari arriviamo lì, le luci non vengono quasi mai viste.
Ci saranno davvero queste luci?
Ma soprattutto, sono un pericolo?
Quanto vicine sono?
Le chiamate notturne hanno sempre un certo peso.

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Eccomi qui, di nuovo in Italia.
Pensavo di aver trovato gli strumenti giusti per gestire anche questo ritorno dopo mesi in Palestina. Eppure, è sempre così difficile tornare alla propria quotidianità, sentirla ancora parte di sé.
Così, mentre sorseggio il mio spritz e rido con gli amici, arriva un messaggio. “G. è stato arrestato”.
Bruscamente ti senti sdoppiare, vivere due vite parallele che non sembrano avere nessun legame.
In una vorresti solo urlare per l’ennesima ingiustizia che colpisce le persone a cui tieni.
Nell’altra, continui a bere quello spritz e non capisci più se per assuefazione al dolore che quasi non provi nulla dopo un primo dispiacere.
E le cattive notizie ti arrivano ogni giorno.
Le leggi e chiudi il telefono per riprendere la routine quotidiana.
Trovi stratagemmi per provare a riportare la testa nel tuo presente.

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