Tu hai paura.
Hai delle occhiaie scavate, fatte di più strati, e tua moglie svela subito ciò che sembra comunque chiaro: non dormi la notte, stai sveglio fino all’alba, poi dopo la preghiera del mattino vai a letto ancora per due ore e poi ti svegli per vedere i due vostri bambini più piccoli andare a scuola.
Tutta la notte la passi sul balcone, a guardare ogni tanto giù, a bere caffè e fumare una sigaretta dopo l’altra.
Ne hai sempre una in mano, forse speri che sia una di queste a ucciderti prima che riescano ad arrestarti e farti scomparire senza processo in qualche carcere del Paese.
Da più parti in pochi giorni la pressione su di te è salita alle stelle, ti sei ritrovato in una morsa stretta che ti sta soffocando, dalla quale davvero né tu né noi sappiamo come liberarti.

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Diario, 4 marzo 2021, Tel Abbas

Ieri abbiamo fatto meditazione insieme con il Diario di Etty Hillesum, e ho pensato alla “lotta interiore”.
Questa espressione, alla quale non si riesce a dare un contenuto a parole, che sembra molto astratta, per me ieri ha preso concretezza nei pensieri.
Ho sentito concretamente qual è la nostra lotta qui.
Adesso come volontarie e volontari in Libano nella quotidianità non appoggiamo un comitato di lotta popolare, né una comunità di pace già composta. La lotta interiore è quella personale, giornaliera, che si compie qui per tenere aperto uno spiraglio e che ci tiene collegati a noi stessi insieme a quelli intorno a noi, ognuno a suo modo nel proprio percorso.
Lottiamo contro il senso comune di abbandono, di solitudine, di buio ad ogni angolo. Lottiamo contro chi dice che queste persone resteranno qui per sempre, non importa se nelle tende o in qualche scantinato umido.

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Martedì 27 aprile alle 18:50, in diretta Facebook e Youtube, prosegue l’appuntamento settimanale con la rassegna web “Sette meno dieci” (*).
Ospiti di questa "puntata", condotta da Gabriella Morelli e Pierpaolo Lala, Anwar al-Bunni (avvocato siriano specializzato in Diritti Umani), Shady Hamadi (scrittore e attivista italosiriano), Marta Serafini (giornalista Corriere della Sera) e Alberto Capannini (Operazione Colomba).

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Siria 15 Marzo 2011, 15 Marzo 2021, 10 anni di conflitto.
Nel mezzo il 30 novembre 2018, una famiglia siriana è entrata nella mia vita.
“La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare.
Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani, uguali per la Sua Misericordia, il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere”.
(Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune).

Fratellanza umana, accoglienza, resto indifferente?
Pur conoscendo pochissimo della Siria, non volevo rimanere indifferente.
Ho capito subito che il Signore con questa accoglienza avrebbe cambiato la mia vita, anche attraverso le mie incapacità e fragilità. L’accoglienza ha inizio la sera di venerdì 30 novembre 2018 e già il sabato successivo nelle sale anspi, ho conosciuto Abdo, i figli Hiba e Mohammed, Najah la nonna, Samar la moglie, in attesa di una bimba, Luna nata il 9 gennaio 2019.
Con l’aiuto del Dott. Jamil Rizqalla, Abdo si è presentato e sono rimasta subito colpita nel sentire che ha iniziato partendo da Padre Paolo Dall’Oglio scomparso da Raqqa nel luglio 2013; gesuita rientrato clandestinamente in Siria, da cui era stato espulso per le critiche al regime di Bashar al Assad, per mediare sul sequestro di due religiosi, da allora solo silenzi. Abdo, mussulmano, parte dall’ammirazione di un gesuita! Abdo, Samar e Najha, scappati da un conflitto internazionale che sembra non avere fine, scappati dal loro amato Paese la Siria, rifugiati, otto anni in un campo profughi, un brutale cambiamento di esistenza.

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La notizia del grande campo profughi situato in località Al Minyeh e composto da 100 tende, che in data 27 dicembre è stato interamente dato alle fiamme, ha fatto il giro dei media mondiali.
Proviamo qui a riportare i fatti che ci sono stati riferiti da fonti in loco, aggiungendo alcune considerazioni che derivano dal clima generale in cui vivono i profughi siriani in Libano, in questo momento.
Innanzitutto, il campo in questione non è solo uno dei tanti insediamenti informali costruiti dai profughi che hanno superato il confine a causa della guerra, ma esisteva già molto prima del 2011 ed era abitato da lavoratori stagionali siriani che già da diversi anni lo abitavano nei periodi di lavoro.
Dopo l’inizio della guerra, questi vi hanno portato anche le loro famiglie e vi si sono trasferiti in pianta stabile.
Inoltre, a differenza di altri posti del Libano particolarmente ostili, la zona di Al Minyeh non è quasi mai stata teatro di episodi di violenze contro i siriani di tale portata, pur essendosi verificati episodi minori.
Il fatto che questo campo, presente da tanto tempo, sia stato coinvolto in un fatto tanto grave, fa riflettere su quanto il livello di intolleranza stia salendo notevolmente nel Paese. 

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