"Non si può soffrire così per far ammettere il proprio figlio neonato in ospedale", pensavo mentre sprofondavo sulla sedia di ferro gelido della sala d'attesa.
Poi una donna inizia a tossire in modo sempre più forte, sembrava potesse soffocare da un momento all'altro: tossiva e piangeva.
Un po' me ne vergogno, ma devo ammettere che per un secondo ho avuto paura che avesse qualcosa di contagioso, prima di avvicinarmi per chiederle cosa avesse.
Minimizzava, aveva uno sguardo molto dolce, eppure la tosse non si fermava e chiaramente non riusciva a parlare.

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In questi giorni stiamo assistendo all'ennesima e più grave crisi della guerra siriana nella provincia del nord di Idlib. Siamo in contatto con persone, attivisti e rappresentanti della società civile che vivono là in situazione disperata. Riceviamo da loro questo appello che vi invitiamo a scaricare e a far conoscere, lo abbiamo già consegnato al Governo tedesco alla fine di febbraio.
Vi chiediamo di presentarlo ai gruppi e alle Associazioni che conoscete e a farci avere notizie di eventuali adesioni e mobilitazioni alla e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Teniamo nel cuore queste persone e pensiamo insieme come agire.

Noi civili della provincia di Idlib chiediamo di essere ascoltati!
Chiediamo che ci aiutiate a fermare questa guerra che si sta abbattendo su di noi!
Chiediamo che ci aiutiate a rimanere nelle nostre case!

Proprio in questi giorni decine di famiglie hanno lasciato la propria casa dopo gli attacchi diretti ai civili da parte dei russi e delle forze del regime sostenuti dalle milizie iraniane.

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Abbudi è nel prato e corre avanti e indietro da oltre un’ora.
E ride continuamente.
Si fa spingere un po’ dalla sorella con il triciclo, poi corre dietro il pallone, poi si lancia verso lo scivolo.
La sorella ogni tanto si ferma a riprendere il fiato, poi si gira e chiede alla mamma: ma perché non si stanca mai?
Io sono seduta a guardarlo e la sua serenità mi contagia.

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Non conosco il rumore dei bombardamenti, la disgrazia della fame, la paura della morte.
Non conosco la speranza disperata a fianco delle preghiere, la sensazione di quando perdi tutto.
Non conosco il carcere, le violenze, le botte.
Io non conosco la guerra.
E solo immaginarla mi fa paura, mi si chiude lo stomaco, mi fa venire i brividi.
È difficile realizzare la sua disumanità.
A volte è addirittura difficile immaginarla reale.

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"La sua anima non è stata picchiata", me lo ripeto perché ho bisogno di trovare una parte di quest'uomo che non sia stata torturata. Uno spazio di pace.
Qualche giorno fa una volontaria mi ha raccontato la sua storia, e ora che sua moglie me la ripete continuo a cercare nella violenza della vita di quest'uomo una parte intatta, pura.
Cerco un piccolo frammento di pace, uno spazio pulito, una terra fertile e senza veleni.
La notte in tenda mentre sono sveglia perché fuori piove troppo e il rumore della pioggia del nylon non mi lascia in pace, penso a lui, e continuo a ricercare nella storia di quest'uomo una parte silenziosa e intatta.

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