È un racconto inaspettato, imprevisto. Anche per chi da tanti anni è qui al “suo fianco”. Dalla finestra di casa lo si vede montare sulla cavalla (o mulo) e, con un semplice verso, partire in cavalcata per raggiungere i campi. In realtà molto più spesso succede il contrario: lo intravediamo al rientro visto che è abitudine, nella vita contadina, madrugar (svegliarsi molto presto al mattino) e noi a quell’ora siamo quasi sempre ancora a riposare.
Persona schiva, silenziosa. Statura bassa, pelle stranamente chiara. Sguardo timido e penetrante che cela nel profondo grande dolore. La sua storia un po’ la conosciamo. Per racconti da parte di terzi. Di certo non pensavamo fosse proprio lui, un ragazzo così timido, che, in una sera di febbraio e dopo aver assaporato la cucina colombiana con un bel piatto di pollo, riso e patacones (platano verde fritto), ci raccontasse così dettagliatamente di sé, dell’assassinio di suo padre, della sua rabbia, della sua paura e della sua salvezza.

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 “...se rimaniamo in silenzio ci uccidono e se parliamo, lo stesso. Quindi, parliamo”.
(Cristina Bautista, leader indigena assassinata nell’ottobre del 2019)

Lo scorso 23 marzo la Comunità di Pace di San José de Apartadó ha festeggiato i suoi ventiquattro anni di vita e di lotta. Una resistenza senza eguali quella della Comunità di Pace capace di trasformare in speranza il dolore di un conflitto che da anni segna corpo e anima di questi contadini e contadine.
Anche quest’anno hanno ripercorso alcune tappe della loro storia con la lettura della costituzione della Comunità, con le canzoni che rimbalzavano note di resilienza e sacrificio, con il loro inno che sin dall’alba riecheggiava tra le colline e con le parole di chi non c’è più, parole registrare anni or sono durante interviste spesso in Paesi lontani, con microfoni gracchianti che non hanno impedito però che si sentissero chiare e ben definite le parole: giustizia, pace e verità.
Anche quest’anno la gente si è raccolta al portone d’ingresso stringendo tra le mani ed il petto le foto di chi ha dato la vita per questo sogno di libertà; tutti insieme hanno raggiunto i luoghi dove ancora una volta in questi ultimi mesi sono state uccise delle persone innocenti. Persone che non erano della Comunità ma che meritavano una preghiera, un pensiero… perché l’oblio uccide due volte.

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24 anni di Resistenza Nonviolenta della Comunità di Pace di San José de Apartadó

La violenza spezza il cuore, l'anima, le idee.
Calpesta i sogni innocenti di pace e di pane, di terra e di passione.
Curva le schiene quasi a spezzarle ma non vince mai quando ad opporsi non è un singolo ma una Comunità!
24 anni di Resistenza, di resilienza di amore incondizionato per la giustizia e la verità!
Buon Compleanno Comunità di Pace!
Avete agito sempre con il cuore perché è questo il vero coraggio, quello che fa dire di sì alla vita e alla lotta per il diritto anche quando sembra impossibile vincere la battaglia.
Eppure, siete qui, in piedi, saldi.
Radici profonde hanno le vostre scelte, calli le vostre mani, semplicità i vostri sorrisi.
Maestra la via che ci indicate affinché assieme si costruisca pace e giustizia.

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In Colombia, nella catena montuosa dell’Abibe, regione di Urabà, il 21 febbraio 2005, un operativo congiunto di militari e paramilitari mise fine alla vita di Luis Eduardo, Bellanira, Deiner, Sandra, Alfonso, Natalia e Santiago, appartenenti alla Comunità di Pace di San José de Apartadò e di Alejandro. Deiner aveva solo 11 anni. Natalia solo 5 anni. Santiago appena 18 mesi.
Da allora, ogni anno, il 20 febbraio l’intera Comunità, accompagnata da organizzazioni nazionali e internazionali, si mette in pellegrinaggio, un cammino di circa 6 ore, per raggiungere i villaggi di Mulatos e Resbalosa, terra dove si è consumato il terribile massacro di vite innocenti per, il giorno seguente 21 febbraio, commemorare la loro morte.
Dal 2009, ogni anno, anche Operazione Colomba è presente a fianco della Comunità per fare memoria assieme a loro di quanto accaduto, per solidarietà, per giustizia.

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In Colombia, così come in altri Paesi dell’America Latina, c’è un rituale allo scoccare della mezzanotte, tra il tramonto del vecchio anno e l’alba del nuovo che sta per arrivare, che vede, nel bruciare un muñeco, il simbolo dell’anno giunto a termine e, attraverso il fuoco, “eliminare” le cose negative successe.
Gli ultimi giorni di dicembre si cercano quindi vecchi pantaloni, magliette o camicie, felpe e in generale vestiti che non si usano più, per abbigliare il muñeco dell’Anno Vecchio imbottendo di segatura, carta o qualsiasi altro materiale che permetta di dare una forma ai panni per poi metterlo seduto su una sedia nell’uscio di casa, nel giardino o nelle vie.
Anche qui nella Comunità di Pace di San Josè de Apartadò, i giorni prima dell’arrivo del nuovo anno, la gente si affretta a ricercare stracci o quant’altro per dare forma all’Anno Vecchio.
Inutile dire che tale rituale, quest’anno, è stato ancora più sentito.

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