Il 24 novembre del 2016 il Governo colombiano e la guerriglia delle FARC-EP firmarono, al Teatro Colon di Bogotà, l’Accordo di Pace per mettere fine a più di 50 anni di conflitto armato nel Paese che ha causato, sino ad oggi, almeno 262.197 morti[1], più di 8 milioni di sfollati interni e circa 120.000 desaparecidos. L’Accordo, che giunse dopo 4 lunghi anni di trattative alla Avana, Cuba, permise a più di 13.000 guerriglieri di abbandonare la lotta armata, consegnare le armi e optare per il passaggio alla vita politica.
“C’è una rivoluzione di coscienza a favore della pace, contro la guerra e questo è un segnale importantissimo nonostante la pace non si sia costruita in maniera completa, nonostante si siano incontrate molte difficoltà per la transizione, per l’implementazione dell’Accordo e per far sì che il Governo sia all’altezza delle necessità del Paese”[2] afferma Camilo Gonzalez Posso, Presidente dell’Istituto di Studi per lo Sviluppo e la Pace (Indepaz).
Lo scorso mercoledì 24 novembre, con la visita del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, si sono realizzati vari atti commemorativi del quinto anniversario dell’Accordo.
Guterres ha affermato che “dopo cinque decenni di conflitto e coscienti della sofferenza che ha causato (…) abbiamo l’obbligo morale di garantire che questo processo di pace abbia successo”.
Dopo aver riconosciuto gli innegabili risultati raggiunti, Guterres ha avvertito sui rischi che corrono in particolare le comunità etniche, le donne, le bambine, le minacce e assassini contro ex combattenti, leader sociali e difensori e difensore dei Diritti Umani. Tra i rischi ha citato anche lo sfollamento e confinamento, la violenza sessuale e il reclutamento di minori.
“Ci sono molti temi sui quali si può e si deve essere in disaccordo in una democrazia, però la pace non può essere uno di quelli. Niente può giustificare la violenza o l’azione dei gruppi armati oggi in Colombia” ha proseguito Guterres nel suo discorso.