Pareti di fango in salita e in discesa, sulla mula o a piedi, per ore e ore, senza sapere quale sarà il prossimo ostacolo, con il rischio di scivolare o di cadere, senza sapere se chi si incontra sul cammino è un volto amico o nemico, se sorridere o glissare.
Meglio glissare sempre, nel dubbio.
Livello di concentrazione sul cammino molto alto.
Occhio attento a non perdere i compagni di viaggio e soprattutto chi accompagniamo che è altrettanto attento a non perdere di vista noi, non solo perché la nostra presenza aumenta il loro livello di sicurezza ma anche per premura nei nostri confronti.
Noi che non siamo avvezzi a questo genere di percorsi, a questo genere di clima e che ignoriamo i rischi nascosti dalla selva.
Nonostante il pensiero ulteriore che rappresentiamo per le persone della Comunità di Pace, abituate a “volare” sul fango e a correre su questi ardui e infiniti cammini, continuiamo a essere un notevole valore aggiunto per loro.
Non mancano di ripetercelo a ogni sosta “grazie che ci accompagnate, grazie che ci accompagnate”.
E a me continuano a sembrare eroi, non per mitizzare, ma per essere onesti e per rendere reale una parola che ormai, in questo mondo, ci sembra possa essere riempita soltanto di significati virtuali ed effetti speciali.

Leggi tutto...

Palme, palme, palme, banane, banane, banane, aria leggera, afa, afa, afa, caldo umido…
Questo quello che vedo e sento appena atterrata ad Apartadó, luogo di cui ho sempre sentito tanto parlare, ma di cui solo ora colgo la realtà.
Ormai nei miei sogni notturni era diventata la terra delle piante più colorate e degli animali più strani e selvatici.
E ora eccoci qua, per davvero.
Dopo anni trascorsi tra virtualità e isolamento a causa della pandemia, finalmente di nuovo la vita: vera, dura e bellissima.
Il verde che caratterizza la Colombia mi pervade.
E dopo poco mi congiungo finalmente a Monica, il cui “habitat” ormai da anni è proprio questo Paese.
L’arrivo in Comunità di Pace è per me un sogno che si realizza: las Palomas de Paz (così siamo conosciuti qui noi volontari della Colomba) vivono da oltre 12 anni in questo contesto arduo e pericoloso, accompagnando e sostenendo quei contadini che continuano a vivere sulle loro terre, nonostante le minacce dei gruppi armati illegali.
Sembra una frase semplice, ma in realtà comprende svariati significati.
Come vivono i membri della Comunità di Pace sulle loro terre?
Tutti insieme, ognuno con la sua diversità ma in un corpo unico che è la loro realtà, una realtà fatta di singoli, con la propria storia, con le proprie ferite e i propri orgogli, che si uniscono per perseguire un progetto comune.

Leggi tutto...

Sono ormai giunta agli sgoccioli della mia esperienza in uno dei progetti di Operazione Colomba: ancora pochi giorni e farò ritorno in Italia. La famiglia, gli amici, i conoscenti stretti con cui ho mantenuto i contatti indicano così il rientro: tornare alla “mia realtà”. A pensarci bene, in effetti, partire per tuffarsi in un contesto completamente diverso, vivendone tutti gli aspetti senza pause, in maniera totalizzante, può avere un impatto molto forte e, in alcuni momenti duri; il pensiero di tornare a casa, dove tutto è conosciuto e privo di eccessive incognite, può portare un poco di sicurezza.

Eppure percepisco una nota stonata in questa definizione, qualcosa che mi disturba. Mi chiedo allora: qual è la “mia” realtà?
Non è forse quella che sto vivendo proprio qui, proprio adesso? E non porterò forse con me, impressi in cuore-testa-pancia tutti questi momenti, questa realtà che ora è anche “mia”? Non sono qui, del resto, per assumermi, come essere umano e cittadina di un mondo-rotondo, una fetta di responsabilità per contrastare le ingiustizie che affliggono il pianeta?
Eh sì, perché la realtà di un mondo globalizzato non può che essere esperita in tutta la sua complessità ed io, quando decisi di partire, sentivo il bisogno di trovare un esempio di resistenza alle brutture di un’umanità, quella contemporanea, che sembra aver reciso il cordone ombelicale con la Natura, barattandola con una fittizia dimensione virtuale e consumista, chiaramente insostenibile nel tempo.

Leggi tutto...

È un giovedì di lavoro comunitario, ossia il giorno prescelto dalla Comunità di Pace di San José de Apartadó per impegnarsi, collettivamente, in attività produttive e di manutenzione in aree territoriali condivise. Dopo varie occasioni mancate, finalmente posso accompagnare i lavoratori in una località che, per una ragione o per l’altra, finora non ho mai raggiunto: mi fa molto piacere perché so che, proprio lì, vive un simpatico anziano, che ho incontrato più volte in Comunità e che, pochi giorni prima, era stato vittima di un piccolo incidente a cavallo (e alla veneranda età di circa 80 anni, continuare a cavalcare è già di per sé un invidiabile traguardo).
Giunti in loco, raggiungiamo l’abitazione dell’uomo ma, dopo qualche chiacchiera e un caffè, scoppia uno di quegli acquazzoni che solo i Tropici sanno regalare, per cui si rientra a dorso di mula e io, priva delle capacità del mio amico cavaliere, sono grata all’animale che, passo dopo passo, mi riconduce a San Josecito.
Il buon umore, però, ha ben poca durata.

Leggi tutto...

Finalmente giunge il momento del mio primo accompagnamento ad una “vereda”, ossia un piccolo villaggio, distante alcune ore di cammino dal centro abitato principale della Comunità di Pace, chiamato “La Holandita”.
Mi cimento, quindi, nel montare su di una mula, partecipando ad una lenta, chiassosa e colorata carovana, composta da membri della Comunità e volontari internazionali, che si snoda per un lungo sentiero che si addentra nel profondo della selva: in più punti si deve guadare il fiume e i piedi (e le zampe) affondano nel fango creatosi dopo giorni di pioggia – quasi – ininterrotta. Si viene ripagati dallo spettacolo della natura lussureggiante e da un’atmosfera allegra, che anima soprattutto i più piccoli. E di fronte a tutta quest’esplosione di vita, stridono i cartelli disseminati lungo parte del sentiero, che avvisano della presenza di mine anti-uomo.

Leggi tutto...