Quando mio nonno, nato nel 1926 e vissuto in una valle bergamasca, decise di scrivere le sue memorie, lessi con grande curiosità di un mondo che mi sembrava lontano, immerso in un tempo a me sconosciuto, calato in un paesaggio nel frattempo mutato dall’intervento di tecnologie volte al progresso.
Nei suoi scritti, narra di un conflitto – la Seconda Guerra Mondiale – che scoppiò quando lui era ancora adolescente: racconta della solidarietà tra i contadini, soprattutto verso le famiglie più povere, dei soprusi che dovettero patire da parte di chi il potere – invece - ce l’aveva, della rassegnazione e della rabbia, ma anche delle strategie per non arrendersi davvero, non del tutto.
E della speranza in un futuro meno ingiusto, meno sanguinoso perché, in fondo, “c’era ancora qualcuno che pensava che fosse proibito ammazzare i civili”.
Eppure, anche dopo la pace, la violenza non scomparve completamente.
E quando nel Vecchio Continente si spensero i conflitti armati, iniziarono gli scontri di carattere economico, travestiti da progetti per lo sviluppo.
Quello stesso “sviluppo” che io, bambina, non ero in grado di mettere in discussione ma che, in un mondo globale, è diventato insostenibile perché le risorse del nostro pianeta Terra non sono inesauribili.

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Oggi è il 23 marzo 2022, 25esimo anniversario della costituzione della Comunità di Pace di San José de Apartadò (CdP).

Già dalle prime luci dell’alba, risuona negli altoparlanti l’inno della CdP: fervono i preparativi, numerosi sono gli ospiti da accogliere, nazionali ed internazionali. Sento forte l’affetto di tutti coloro che qui hanno trovato un esempio di resistenza, lotta, rispetto, cura di sé e degli altri - perché, senza gli altri, non siamo niente.

I giorni precedenti, appena arrivata, sono stati forieri di esperienze nuove, perché qui ci si occupa tutti insieme del buon esito della festa, dai più piccini ai più anziani, ed io non ho voluto sottrarmi nemmeno alle attività che in Italia non avrei voluto esperire, perché quando si lavora insieme, la fatica si divide e la soddisfazione si moltiplica.

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Lo sgomento in questi giorni per l’acuirsi della guerra in Ucraina ha invaso i cuori di molti di noi che si sono sentiti improvvisamente “vicini e coinvolti” in una guerra alle “porte di casa” ma che in realtà era iniziata nella primavera del 2014 e aveva causato già 13 mila vittime e 1,5 milioni di sfollati interni prima di questa recente recrudescenza, ma ben pochi se ne erano interessati.
Oggi l’empatia verso tanta sofferenza e l’indignazione per l’ orrore che sta vivendo il popolo Ucraino è sacrosanta, come doveroso è intervenire e portare solidarietà e soccorso a tanta gente che sta fuggendo.
Anche noi, come Associazione Papa Giovanni XXIII siamo andati subito in Ucraina per aprire un Corridoio Umanitario.
Ma il mio pensiero inevitabilmente va anche a tutte quelle migliaia di vittime scappate da altre guerre che per non essere sentite come “nostre” o “vicine” o “minaccianti” ci hanno portato ad alzare muri e fili spinati per confinare tante creature tra il freddo, la fame e l’oblio, negando loro qualunque possibile futuro. Mi chiedo quindi come sia possibile che le lacrime di quei bambini africani, afgani, siriani… siano meno degne del nostro abbraccio e della nostra capacità di accoglienza.

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Quasi 12 chilometri di marcia quelli fatti dai membri della Comunità di Pace e da noi volontarie di Operazione Colomba per rendere omaggio, il 23 dicembre scorso, a Huber Velasquez, leader sociale assassinato presuntivamente da un gruppo di neo paramilitari sulla porta della sua casa, di fronte ai suoi bambini e alla moglie, la sera del 17 dicembre.
La sua colpa sarebbe quella di aver denunciato varie irregolarità nel rifacimento della pavimentazione stradale che porta dalla città di Apartadó a San José. Voleva resistere ed opporsi all’ingiustizia e, per questo, non ha esitato a dire a gran voce che la verità doveva venire alla luce.
Era solo a farlo.
Solo, perché tutti qui sanno qual è il prezzo da pagare per esigere giustizia.
Una solitudine indotta e forzata, non perché gli altri intorno non vedano il male, ma semplicemente perché sanno che raccontarlo costa la vita.
La solitudine dei resistenti pare il comune denominatore di molti uomini e donne che hanno lottato per il cambiamento e per il Diritto alla libertà e alla vita in tutto il mondo.

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Presepio realizzato dalle volontarie di Operazione Colomba con alcune giovani della Comunità di Pace di San José de Apartadó in Colombia.
Le stradine di mais e fagioli, la terra di lolla di riso, le piantine di riso sullo sfondo.
Le casette, il chiostro, la cupola della memoria, raffigurazione della Comunità stessa, fanno da contorno alla Capanna.
Le cabosse di cacao biologico, frutto di quella terra fonte di vita e dignità.
La bandiera della Pace, simbolo di coraggio e di luce.