K. si porta la mano al petto. Le sue dita rimarranno segnate per sempre dalle martellate ricevute durante i nove anni di prigione in Siria.
Sospira cercando di non darlo a vedere.
Il check-point ormai è alle spalle mentre torna a casa in bus.
Durante questo periodo di deportazioni sommarie, aggravatosi nell’ultimo mese, è difficile capire a quanti, allo stesso check-point, è stata invece riservata una sorte diversa.
Il padre di A., 23 anni, è venuto a sapere che suo figlio è stato fermato proprio lì solo perché informato da chi l’ha riconosciuto nella località al confine con la Siria durante la deportazione.
Era con una trentina di persone. Di A. non si è più saputo nulla per due giorni. Poi la notizia.
È in prigione nel Paese da cui è andato via quando aveva 14 anni.
“Non lo possono prendere per la leva militare obbligatoria perché è l’unico figlio maschio. Dovrebbero rilasciarlo, ma chissà che gli hanno fatto. Se gli hanno chiesto dov’è la sua famiglia, dovremo andare via di qua”.
Le deportazione ci sono sempre state, rispettando una qualche procedura che rispondeva alle esigenze della “sicurezza pubblica”.
Ma ora si tratta di veri e propri rastrellamenti arbitrari e ingiustificati dall’effetto immediato.
H. era uscito al mattino presto senza documenti.
“C’è un fattore che arriva all’alba e porta il laban (yogurt) fresco”.
I soldati l’hanno fermato mentre camminava vicino casa sua e l’hanno portato via.

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Immagina una strada, come fosse una via senza nome e senza civici, tutta dritta.
Ai lati, a destra e a sinistra, tutte tende.
La scritta UNHCR sulle pareti e dentro ognuna una famiglia diversa.
Mentre la percorri, bambini che corrono, sorridono e ti salutano.
In terra sassi bianchi sotto i piedi nudi, e in cielo il primo sole che scalda per davvero.
Immagina che a metà della via ti accorgi di una donna, ferma sull’uscio di una tenda, col capo coperto, che ti invita ad entrare assieme ai tuoi due compagni.
Levi le scarpe, ringrazi con un cenno del capo, e ti metti a sedere su di un cuscino che fa da unico separé tra te e il pavimento.
Abiti quella terra da qualche giorno, l’arabo non è intuibile ad un neofita, e le parole che si scambia chi siede con te sono, ai tuoi orecchi, suoni privi di senso.
Allora ti lasci guidare dalla vista, e senza accorgertene ti trovi a fissare quella donna che tiene banco con tanta disinvoltura.

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27/01/2023
Momenti di domande e riflessioni sull’impatto che ha avuto l’ultimo mese su di me, sul mio carattere, sulla mia consapevolezza e modo di rapportarmi agli altri.
Ma anche il mio impatto sulle persone che ho incontrato, con le mie parole ed espressioni, sorrisi e bronci.
Tanti visi nuovi, ognuno di loro con una storia intensa, una biografia che voglio conservare e testimoniare.
In questa chiesa mi sembra di essere un pezzo di storia, e questo è in effetti.
Siamo nel tempo e dunque siamo nella storia.
Mi richiama alla storia drammatica di questo Paese, in cui la religione è stata sicurezza personale e conflitto interpersonale.
Parto con la consapevolezza del privilegio che della carta stampata mi dà. In cui il mio Diritto di movimento è tutelato: il privilegio di scegliere di andarmene e di tornare.
Un privilegio che i siriani in Libano non hanno.
La scelta gli è stata tolta da tempo, da prima di quel 2011 sotto un regime assassino.

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19/01/2023
“Casa mia è la tenda, non è la Siria” ci dice una bambina del campo.
I giorni scorrono veloci. Le ultime situazioni che si sono presentate ci hanno messi alla prova e ci hanno mostrato l’impatto che abbiamo qui. Ti rendi conto della difficoltà di compiere delle scelte che per forza di cose avranno conseguenze positive per alcuni e inesorabilmente negative per altri.
Dare rifugio ad una mamma con tre bambini, lasciare solo un padre con un piccolo innocente.
La scelta è privilegio per noi.
Per i siriani a volte la scelta è tra soccombere e sopravvivere... scegliere di vivere una vita che ne valga la pena, la maggior parte delle volte, non è tra le loro opzioni.
Del vivere la vita a volte sembra rimanere solo lo stare in vita, in una condizione di non-vita.
Scegliere di tentare la via del mare, scegliere di abbandonare un bambino in tenda e salvarne tre, scegliere di affidarsi ad uno straniero, un estraneo, scegliere di aspettare.

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- 26 gennaio
Primo breve resoconto. Sono arrivata l'altro ieri sera, tardi, accompagnando K., donna libanese di 60 anni che è venuta in Italia con i figli, di cittadinanza siriana (quella libanese si trasmette solo per via paterna), minacciati e in pericolo. La loro colpa è il loro impegno a favore dei profughi siriani, attraverso scuole e cliniche gratuite per i siriani, che però tolgono così utenza pagante alle strutture gestiste dalle cosche locali (in mancanza totale di scuole e cliniche pubbliche).
Lei è stata trattenuta due ore in aeroporto per controlli non meglio specificati. Entrambe purtroppo abbiamo visto tanti respingimenti arbitrari e abusi sui confini per riuscire a vivere serenamente queste due ore d'attesa, ma alla fine siamo entrate. Lei tornava per visitare il resto della sua famiglia che non ha avuto la possibilità di emigrare e che non vede da anni.
Incredibile la festa che le hanno fatto figli e nipoti!!

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