Situazione attuale

Lo scorso fine ottobre ha avuto molta eco, anche a livello internazionale, la cattura del capo del Clan del Golfo, gruppo neo-paramilitare altresì conosciuto come AGC, Autodefensas Gaetanista de Colombia. Le ripercussioni di tale cattura si sono riversate immediatamente sulla popolazione civile dell’Urabà Antioqueño e del Bajo Cauca dove il Clan opera in maniera massiva. Attraverso dei messaggi audio e dei volantini distribuiti in varie città, gli uomini delle AGC hanno annunciato che saranno perpetrati attentati contro la popolazione civile e la forza pubblica. Fortunatamente, al momento, non ci sono stati attacchi diretti di massa ai civili, ma purtroppo gli omicidi selettivi sono continuati, come accaduto lo scorso 5 novembre nella regione del Putumayo dove tre persone sono state uccise in una zona contesa da diversi gruppi illegali. Come riportato anche dal quotidiano italiano La Repubblica: “[...]la Colombia si conferma come il Paese più pericoloso per chi difende l’equilibrio della natura […]” con 4 morti a settimana, 32 già quest’anno, secondo i dati riportati da Global Witness.

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Anche questo mese non si placa lo sconcerto di fronte a numerosi omicidi selettivi di leader sociali in tutto il Paese. Tra gli ultimi, quelli della leader indigena Misak, Nazaria Clambás, nel Cauca, che ha fatto seguito a quello di un noto giovane appartenente al movimento contadino popolare del comune di Las Vega sempre nel Cauca, Luigi Alfonso Narvaez, impegnato come difensore del territorio e dell’ambiente.
Come evidenziato nel report La paz confinada, situacion de defensores y defensoras de Derechos Humanos en Antioquia 2020 redatto dal Nodo Antioquia di Coordinamento Colombia Europa Stati Uniti, i gruppi armati illegali mantengono il controllo e lo esercitano in almeno 112 Municipi dei 125 esistenti nella regione di Antioquia, zona in cui sono presenti anche i volontari di Operazione Colomba. Ancora più drammatico il report di Indepaz (Isitituto di Studio per lo Sviluppo e la Pace) che descrive lo scenario di un Paese dove le attività dei gruppi armati illegali - quali le AGC, l’ELN e la dissidenza delle FARC - si articolano soprattutto nelle regioni di Antioquia, Nord del Santander, Chocò, Cauca, Meta e Nariño. Questi gruppi si suddividono a loro volta in una miriade di sottogruppi che agiscono nelle diverse località compiendo crimini legati al narcotraffico, omicidi selettivi e scontri a fuoco, causando la fuga di migliaia di civili. Secondo i dati delle Nazioni Unite per la Coordinazione degli Affari Umanitari, dall’inizio di quest’anno gli sfollamenti sarebbero aumentati del 195% rispetto al 2020.

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Situazione attuale

I primi giorni di settembre, Operazione Colomba ha accompagnato la Missione Umanitaria di SIZOCC (Solidarietà Interreligiosa in zone di conflitto in Colombia), che si è realizzata nella regione di Antioquia e, in particolare, nei municipi di Frontino e Dabeiba. Alla Missione hanno partecipato il Vescovo della Diocesi di Apartadò, Monsignor Torres, il Vescovo della Diocesi di Quibdò, Monsignor Barreto, il Vescovo Luterano di Colombia Atahualpa, le missionarie di Madre Laura, rappresentanti della Chiesa Presbiteriana, alcune organizzazioni sociali e l’organizzazione indigena di Antioquia. In accordo con il comunicato ripreso dalla Conferenza Episcopale Colombiana, la Missione ha constatato la presenza, nell’area visitata, di gruppi armati illegali come l’ELN e le AGC, responsabili di svariate violazioni del Diritto Internazionale Umanitario quali l’installazione di mine antiuomo, lo sfollamento, il confinamento, le minacce e gli omicidi selettivi nelle diverse comunità che abitano la zona.

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Situazione attuale

Da diversi mesi le manifestazioni di protesta continuano, con cadenza regolare, in varie città del Paese, contro la riforma tributaria e non solo. La Personeria di Bogotà (organismo di controllo e vigilanza sui diversi enti territoriali, incaricata della difesa e protezione dei Diritti Umani) ha denunciato varie irregolarità nelle modalità di azione dell’ESMAD (forze speciali antisommossa), durante le proteste di fine agosto. Durante la visita in Colombia, Monsignor Duffé (Segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale) ha dichiarato che le manifestazioni sono state “un’espressione di disperazione, un chiaro “no” per le troppe disuguaglianze politiche ed economiche, per la troppa corruzione e violenza contro i poveri, per il troppo disprezzo contro i giovani, i lavoratori e i rappresentanti della società civile”.
Non è meno grave la situazione in varie zone rurali del Paese in cui la presenza di diversi gruppi armati illegali determina condizioni di grande vulnerabilità per la popolazione civile, costringendo allo sfollamento forzato migliaia di persone.

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Situazione attuale

Il 12 luglio la Mision SOS Colombia, composta da 41 delegati internazionali tra i quali il Segretario Generale del Vaticano, ha consegnato un documento preliminare nel quale vengono riportate le violazioni dei Diritti Umani, avvenute durante lo sciopero nazionale, e viene sollecitata la necessità di fornire garanzie a tutela della protesta, dei manifestanti, della stampa, delle missioni mediche e dei Diritti Umani. La Mision ha visitato 11 regioni del Paese tra il 3 e il 12 luglio.
Non cessa, inoltre, la violenza nel Paese contro leader ed ex-combattenti.
Nel suo ultimo report, l’organizzazione colombiana Indepaz avverte che, in questi primi 7 mesi del 2021, sono stati uccisi 103 leader sociali e 31 ex-combattenti delle FARC-EP. La ONG Indepaz riferisce di 60 massacri da inizio anno. Da mercoledì 21 luglio la popolazione contadina del municipio di Ituango, città ubicata nel nord-ovest della Colombia, ha iniziato l’esodo verso la città: più di 1000 famiglie sono sfollate dai villaggi, generando l’ennesima migrazione forzata a causa della disputa per il controllo territoriale tra gruppi paramilitari e gruppi dissidenti delle ex-FARC-EP, come si legge nel comunicato dell’organizzazione colombiana Movimiento Rio Vivos. Quello di Ituango è il maggior sfollamento forzato degli ultimi anni, ma le famiglie contadine, che abitano nella zona rurale del nord di Antioquia, sanno da tempo cosa significa fuggire a causa del conflitto armato.

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